The Apprentice – Alle origini di Trump

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La terza regola è: qualunque cosa succeda, hai vinto; non ammettere mai la sconfitta.
(Roy Cohn – Jeremy Strong)

Se si ripensa a quanto accaduto il 6 gennaio 2021 dopo aver visto questo prodotto, diventa molto più chiaro come mai il Presidente uscente non dichiarò la vittoria di Biden: ci sono tre regole per essere vincenti, e Trump ha dimostrato che applicarle alla lettera, alla fine, sembra funzionare.

Il film inizia come una missione del satirico videogioco Grand Theft Auto, un’esplosione di sarcasmo e sagacia, con conversazioni grottesche al limite dell’assurdo: sono messi in scena tutti gli ingredienti che saranno parte della pellicola nel corso delle sue due ore, che partono da un Trump quasi innocuo e ancora acerbo, affamato sì di potere, ma non in grado di realizzare a quali parti di lui questa fame lo obbligherà a rinunciare. E in questo lo guiderà Roy Cohn, il controverso avvocato che gli farà da mentore, insegnandogli che la via per il successo è lastricata di cinismo, individualismo e dalla messa in pratica del capitalismo opportunista che non guarda in faccia alle leggi. Dalla sua prospettiva, il governo è giusto se lui e le persone come lui si vedono riconosciuti le proprie pretese e benefici: qualsiasi altra opzione è una minaccia per la grandezza del suo amato paese. In alcuni (pochi) momenti il film lascia spazio anche a un Trump più umano, che però rifugge questo lato ed è come se, col passare del tempo, questo venga pugnalato dalla sua parte imprenditoriale, finché non ci sia più nulla da pugnalare. La seconda metà della pellicola, invece, perde un po’ di ritmo: probabilmente mezz’ora in meno avrebbe giovato alla messa a fuoco e ad evitare ridondanze.

Ottima la prova di Sebastian Stan, che riesce con la mimica e il modo di parlare a ricordare Trump: per un attore che finora non aveva avuto modo di prendersi la scena, sicuramente questa parte importante si spera possa essere vista anche negli USA, nonostante i molti problemi avuti dall’opera per ottenere una distribuzione casalinga a seguito delle critiche dell’entourage di Trump.

Molto bravo anche Jeremy Strong: l’influenza di Roy Cohn è così grande che di fatto è una sorta di co-protagonista, presentato come una persona estremamente istrionica con tre regole di vita che Trump farà sue nel corso della sua vita, diventandone un suo Virgilio senza quasi lati positivi e allo stesso tempo pieno di contraddizioni. Così come gli Stati Uniti qui rappresentati vivono nella contraddizione, tra estrema ricchezza ed estrema povertà, sullo sfondo di un sogno americano che è un miraggio per quasi tutti, un fallimento per molti e un successo per i pochi che possono permettersi di trasgredire le regole; un sogno dal quale Abbasi vuole svegliarci mostrandolo come un casinò dove i cittadini sono tenuti a giocare credendo di poter vincere, facendo arricchire solo chi gestisce il tutto e che desidera solo che la giostra continui.

Le musiche iniziano subito forte, con un rock dritto e potente, così come sono i dialoghi e i caratteri dei personaggi principali, mentre i secondari non emergono particolarmente, utilizzati con una funzione puramente orbitale alle dinamiche che il film vuole proporre, mentre la regia opera come un documentario con un look anni ‘70 -’80 con telecamera a mano molto veloce e particolarmente cinetica, smaniosa di guidare le scene con un ritmo frenetico, in mimesi con l’evoluzione della vita di Trump in quegli anni in cui New York sembrava un campo di battaglia. Un’evoluzione in cui non mancano comunque dei momenti in cui l’iniziativa e l’ardore di Trump e il suo desiderio di successo non vengano esposti come meritevoli di stima da parte degli spettatori, dimostrando come Abbasi non volesse limitarsi a mostrare un solo lato della medaglia Trumpiana, realizzando un’opera che, di fatto, non accontenta nessuno del tutto, essendo sia critica, sia elogiante alla figura di Trump e della sua capacità di avere successo.

The Apprentice – Alle origini di Trump

Regia: Ali Abbasi

Voci: Sebastian Stan, Jeremy Strong, Maria Bakalova, Martin Donovan, Catherine McNally, Charlie Carrick, Ben Sullivan, Mark Rendall, Joe Pingue, Jim Monaco, Bruce Beaton, Ian D. Clark, Valerie O’Connor, James Madge, Ron Lea, Edie Inksetter, Michael Hough, Robert J. Tavenor, Raechel Fisher, Stefanie Martino, Randy Thomas, Myron Ron Reider, Sharon Wilcox, Jai Jai Jones, James Downing, Charlie Seminerio, Joshua Michael St. John, Tom Barnett, Jason Blicker, Frank Moore, Chloe Madison, Jaclyn Vogl, Benny Shilling, Chris Owens, Nabil Traboulsi, Sam Rosenthal, Brie Watson, Duke Robinson, Clare Coulter, Craig Burnatowski, Lorne Monroe, Peter Deiwick, Ben Ball, Iona Rose MacKay, Samantha Espie, Craig Warnock, Kerry Ann Doherty, Erik Snider, Chris Gleason, Taylor Bernier, Domingos Andrade, Mishka Thébaud, Patch Darragh, Dina Roudman, Rick Hughes, Russell Yuen, Michael Gordin Shore, Matt Baram, Aidan Gouveia, Gavin Pounds, Tammy Boundy, Katie Layne, Don Shaxon, Salvatore Marcellino, Eoin Duffy, Marvin Karon, Moni Ogunsuyi, Duane Keogh, Brad Austin, Kate Wheeler, Fiona Mongillo, Stuart Hughes, Daniel Goldenberg, Mary Krohnert, Taylor Brunatti, Addyson Douglas, Emma Elle Paterson, James Lucas Cruickshank, Henos Girma, Elliot Hunter Self, Ross Cameron Bruce Fraser, Eamon Bernard Fraser, Niamh Carolan, Michelle Doiron, Drew Gilder, Dion Yorkie, Sebb Argo, Miles Carney, David Yee, Tara Flynn, Gary Hetzler, Peter McGann, Liam Bell, Kyle James Butler, Jim Chad, Cyndy Day, Aaron J. La Fleur, Emily Mitchell, Andre Reiter, Vincenzo Ruggieri Calvano

Durata: 122 minuti

Uscita: 17 ottobre 2024

Versione Inglese

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REVIEW OVERVIEW
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the-apprentice-alle-origini-di-trumpIn un’intervista a Vanity Fair, il regista Ali Abbasi disse che probabilmente, al vero Donald Trump, questo film non dispiacerebbe, nonostante l’aspra campagna denigratoria che si è consumata ai suoi danni da parte dei portavoce del 45° presidente statunitense. E dopo averlo visto, alla fine il regista iraniano potrebbe avere ragione: la pellicola coniuga in un unicum le lodi e le critiche a ciò che Trump rappresenta ai suoi occhi: l’araldo del capitalismo occidentale più discriminatorio, opportunista e ottusamente convinto di rappresentare un luminoso esempio di compimento del sogno americano, incurante dei trascurabili detriti rappresentati da chi ne fa le spese.

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